Lotteria Festa del Villeggiante 2018
Lotteria Festa del Villeggiante 2018
1° Viaggio per 2 persone 127
2° PC portatile 536
3° Tablet samsung 769
4° Batteria di pentole 1937
5° Stampante Epson 2194
6° Hard disk 1T 2596
7° Tagliando auto 240
8° Cesto alimentare 1211
9° Borsa termica 666
10° Confezione asciugamani 1298
11° Confezione asciugamani 529
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La nostra storia
LA NOSTRA STORIA
Racconto inedito di vita vissuta durante la Seconda Guerra Mondiale
La Serenissima viene sconfitta da Napoleone nel 1797 ed il Veneto paga a caro prezzo l’instabilità politica ed economica che ne deriva. Specialmente l’Altopiano di Asiago ne soffre tremendamente con la perdita dell’autonomia economica e politica che aveva goduto per 4 secoli. La nostra gente non riesce più a vivere con la dignità di prima e comincia a spostarsi, verso la metà dell’ ‘800, nella vicina pedemontana. Però la vita è dure pure in campagna ed in Veneto è sempre più difficile poter mantenere la famiglia. Inizia così la grande migrazione; prima verso il Brasile poi verso il Nord America. Partono a migliaia, famiglie al completo, sopportando viaggi perigliosi, con la speranza di trovare la “cuccagna” oltre l’Oceano. La “cuccagna” non c’era ma i veneti, forti nella fede, nel lavoro e nella solidarietà, fondano paesi e città dove, oggi, i nipoti e pronipoti vivono nel lavoro e nel benessere. Chi aveva resistito alla grande migrazione di fine ‘800, purtroppo, dovrà emigrare, negli anni ’20 e ’30, specialmente in Europa ma anche in Australia.
Con la seconda guerra mondiale tutto si complica ed è difficile pure a muoversi, per ovvi motivi; quì si inserisce la testimonianza, raccolta dal sottoscritto, di Rossi Ada figlia di Giovanni e Baù Maria-cadorna-, allora 15enne abitante a Sasso di Asiago.
“…siamo nel 1943, nelle famiglie serve “la sale” che non si trova, il sale è alimento indispensabile per conservare i formaggi e specialmente carne ed insaccati. A Trieste si può trovare il sale a buon mercato; mi aggrego alle mie cugine più grandi, già sposate, del vicino paese di Stoccareddo (Angela del Nato, Caterina del Lusche, Amalia del Celestin e la Maria del Toni, ancora vivente) in partenza per Trieste. All’alba scendiamo la Calà del Sasso -4444 scalini- per la scorciatoia (sentiero delle grotte) che sotto i stretti, sbuca nella Calà e continuare, col nostro carico di tabacco da naso, fino ad arrivare in Valsugana…il tabacco da naso, preparato di contrabbando con quanto sottratto ai controlli, era molto richiesto a Trieste; serviva come merce di scambio per il sale marino, il migliore…si sale in treno a Carpanè e via Bassano, Mestre, Latisana arriviamo a Trieste. Nel viaggio di andata siamo dovuti scendere “solo” due volte dal treno per allarme aereo. Raggiunta Trieste nel primo pomeriggio in un paio d’ore il tabacco da naso era venduto, le cugine già sapevano dove andare, ed acquistato il prezioso sale, ci troviamo in stazione verso sera per attendere il treno per Mestre del mattino seguente. Dopo una frugale cena con un panino e una “spuma” (bibita all’arancio) si decide di andare al cinema, io non sapevo neanche cosa fosse; ricordo bene che la proiezione del film fu preceduta da una rivista con delle ballerine che mi sembravano galline. Tornate in stazione passiamo la notte in sala d’attesa. Finalmente si parte per un viaggio di ritorno molto più difficile e periglioso dell’andata. Infatti appena passata Latisana, il treno si ferma e tutti a scendere in aperta campagna; si sentono i bombardieri arrivare con quel rumore sordo e continuo, molto diverso dal rumore dei caccia che noi vedevamo scendere in picchiata sulla Valsugana per bombardare la stazione ferroviaria di Cismon e/o Primolano. Per fortuna non succede niente, forse sono diretti in Germania. Si risale in treno e si prosegue nell’albeggiare di quell’inverno del ’43 ma ben presto si sente un’altro segnale d’ attacco aereo nei pressi di San Donà di Piave. Si scende in fretta dal treno, pochi minuti di silenzio surreale, quando si sentono enormi boati in lontananza. Ci fanno proseguire a piedi fino al Piave, il ponte ferroviario è distrutto, si riesce attraversare il fiume su un barcone; ormai il sole è alto, un pensiero và ai fatti della Prima Guerra Mondiale che mio nonno Angelo -cadorna- e il barba Stefano, suo fratello, ci raccontavano nei lunghi filò in stalla nelle serate invernali, dei cinque anni di profugato, del nostro altopiano distrutto dalle artiglierie.
Saliamo sul treno al di là del Piave e via verso Mestre dove troviamo la stazione mezza distrutta. Oramai è mezzogiorno, riusciamo a racimolare del pane e della mortadella per il nostro pranzo contente di aver salvato il sale e la vita. Al pomeriggio saliamo sul treno per Bassano, all’imbrunire arriviamo a Carpanè e, senza pensarci troppo attraversiamo il ponte del Rialto di Valstagna si prosegue per la Val Frenzela, quasi di corsa si arriva ai piedi della Calà del Sasso, beviamo un pò d’acqua alla fontanella, ormai ci sentiamo come a casa ma ben consce che ci aspettavano ancora due ore di dura salita. La cugina più “vecchia”, Angela, inizia il rosario e, a turno, tutte recitano una decina di Ave Maria. Arriviamo in vista di Stoccareddo sulla cavallara e, per farci sentire, ci mettiamo a cantare felici e contente di poter dormire a casa nostra. Posato il sacco di sale sul tavolo in cucina dei nonni Angelo e Valentina, neanche il tempo di appoggiare la testa sul cuscino sono addormentata. Sono le 23.30, buona notte…”
Finita la guerra Ada Rossi si sposò con Gino Baù dei Mori, contrada del Sasso, emigrarono presto nell’ Alsazia francese; là nascono le figlie Nelly (1948) e Floriana (1950) e Giorgio (1952). Giorgio, oggi imprenditore di successo, è stato il primo Baù a studiare alla Sorbona di Parigi.
Anche questo racconto, come del resto le vicissitudini del profugato causato dalla prima guerra mondiale, ci dice come le nostre nonne e mamme divennero il vero riferimento della famiglia come, a mio parere, lo sono ancora oggi.
Amerigo Baù
- Pubblicato il Storia
A proposito di profughi …..
Quando i profughi erano i Veneti
(Da una lettera dell’Episcopato Veneto al popolo durante la prima guerra mondiale)
E’ storicamente documentato come il Vescovo di Padova, Luigi Pelizzo; il Vescovo di Vicenza, Ferdinando Rodolfi e gran parte del clero come delle suore delle due diocesi furono molto attivi nell’aiutare i “nostri” Profughi Altopianesi nella vicenda terribile del maggio 1916 quando 25.000 nostri paesani dovettero “scappare” dalla loro adorata terra spinti dalla falsa promessa delle autorità che si trattava di qualche settimana.
Ora sappiamo, noi loro figli e nipoti, le indicibili sofferenze patite in quei 5 lunghi anni, perchè arrivati gli anni del centenario della Prima Guerra Mondiale, sono stati riesumati documenti e foto dagli archivi storici; pochissime sono testimonianze degli ultimi sopravissuti anche perchè al loro ritorno, i nostri nonni, specialmente le nonne e genitori non ne volevano parlare. Forse era tale il dolore fisico e mentale patito da voler eliminarlo dalla memoria.
“…Sciolto il tributo della pietà filiale al Padre comune, il nostro pensiero si rivolge al nostro gregge fedele. E lo vediamo, ahimè, in parte disperso e sbandato in ogni lembo d’Italia. A voi, profughi delle terre invase, e delle zone battute dalle artiglierie nemiche, a voi Suore raminghe, che doveste esulare o con gli infermi, o con gli orfani, con i vecchi invalidi e perfino co’ mentecatti affidati alle vostre cure, sia il nostro saluto, la paterna nostra parola di conforto. V’abbian visti in lunghe e dolorose schiere passar per le strade e traverso i campi nei giorni del dolore, col terrore sul volto, povere vittime innocenti di questa terribile guerra. V’abbiamo seguiti nelle vostre peregrinazioni, accalcati ai ponti, nelle lunghe attese alle stazioni delle ferrovie, pigiatisui treni, alle porte delle città; smenbrate le famiglie, rovinate le fortune, smarriti i figli, lo sgomento nell’anima. Quanto avete sofferto, quanto soffrite ancora! Poveretti: a voi è stato serbato un dolore, che nessuno può misurare.” continua la lettera “…Dappertuto vi sono anime buone che intendono il vostro dolore, che si prendono a cuore i vostri bisogni, vi confortano e vi aiutano…custodite l’inviolabilità della famiglia, la innocenza dei fanciulli, il candore delle vostre figliuole…passati i giorni della tribolazione possa ciascuno di voi tornare al proprio paese, tra i parenti e gli amici d’un giorno…”
E’ risaputo che i “nostri” profughi erano per lo più “sistemati” nel basso vicentino ma molti altri erano sparsi in tutte le contrade d’Italia; dalla Lombardia al Piemonte, dalle Marche alla Campania e giù finanche in Sicilia.
Comunque è documentato che il Vescovo di Padova, Luigi Pelizzo, è stato in visita ai tanti Altopianesi profughi in quel di Varese e d’intorni; sempre accolto con entusiasmo e calore. La cronaca della visita a Varese dell’ amatissimo Presule sottolinea come: …Degno di particolare menzione è il gentile pensiero che il Signor Bonomo di Asiago, che volle fare omaggio a Mons. Vescovo di due serie di cartoline assai riuscite di Asiago quale fu, e quale ora ridotto dalla barbarie nemica. Nella stessa occasione conobbe il Cav. Badini chiamato “il papà dei profughi” per le sue benemerenze nei riguardi della gestione dei profughi provenienti dal Veneto…infatti erano considerati ospiti graditissimi, circondati da ogni cura.
Senzaltro, a mio parere, un’accoglienza che spesso non hanno trovato nel basso vicentino dove erano visti “come nemici” forse a causa del loro todescare (cimbro) o modo di parlare.
Il profugato patito dai nostri altopianesi come degli altri veneti o friulani ha cambiato il modo di essere delle “nostre” donne. Basta pensare con quale forza d’animo e dignità hanno dovuto gestire il profugato, gli uomini attivi o erano al fronte o erano emigranti, che ha voluto dire prendersi al 100% l’incarico di capofamiglia e partire, con la morte nel cuore, portandosi a presso i bambini, dai neonati ai ragazzi e i vecchi anche quelli ammalati. Per andare dove? trovare un riparo e trovare qualcosa da mangiare. Che grinta che amore queste nostre donne. Sono ritornate, dopo 5 lunghi anni, nei loro paesi innamorate della loro terra anche se sconquassata da un’infinità di bombe, quasi irriconoscibile.
Aggiungo un fatto storico per capire l’attaccamento degli Altopianesi alla loro terra: …radunati i capifamiglia di Stoccareddo (più donne che uomini) venne chiesto loro: poichè il paese è da ricostruire completamente vi consiglio – dice l’incaricato del governo per la ricostruzione – di pensare alla ricostruzione di Stoccareddo nella zona Valbella, un sito molto più comodo a Gallio anche per voi. I capifamiglia risposero che non erano interessati alla nuova ubicazione e vollero la ricostruzione ancora là alle pendici del Col del Rosso.
Amerigo Baù
- Pubblicato il Storia